lunedì 28 marzo 2011

Il non senso della vita


“Istituto Parimpampù, buongiorno”
“Buongiorno, chiama dalla Costruminchia, vorrei parlare con qualcuno della segreteria…”
“Ah sì?”
“Ehm…Sì”
“Ora passo la chiamata.”
“Ok”
“Spiacente ma è occupato.”
“Va bene, richiamo tra…”
“No no, aspetta in linea, farai prima”
“Ok…”
“Quindi sei della Costruminchia, eh? E state lavorando qui?”
“Sì, nell’ala nord”
“Chissà quanti soldi che prendete!”
“Quelli che servono, questi sono appalti pubblici legati ad un listino prezzo, non li scegliamo noi”
“Ah, sì sì… è per questo che lavorate male e fate cemento senza armatura!”
“Eh??? Credo si stia sbagliando!”
“No, ma mica dico a voi, eh? Io prima di lavorare qui avevo una piccola impresa e pure io facevo magagne per guadagnare”
“Eh, ma mica si è tutti uguali!”
“Sì sì, certo…e tu sei in amministrazione?”
“No, sono un tecnico…ma è libera la segreteria?”
“Aspetta che provo…no, l’interno è occupato, altri 5 minuti e si liberano”
“…”
“Ma dov’è che avete sede?”
“A Inculonia”
“Ah, non ci sono mai stato…però un giorno potrei venirci”
“E’ un paese libero, può circolare dove vuole”
“Ha Ha Ha, come sei simpatica. E com’è chi ti chiami?”
“ Dange…”
“Che nome bellissimo, io sono Osvaldo. Hai una voce bellissima! Chiamami sempre che facciamo amicizia…”
“…certo…è libera la segreteria?”
“No, ma tra un minuto lo sarà sicuramente”
“Ah…scusa ma devo riattaccare che c’è gente alla porta!” (bugia bugia bugia!)
“Peccato, però richiamami!”
“Certo certo, aspetta che mo’te chiamo”

domenica 27 marzo 2011

Ingranaggi


Ci sono rapporti che sono immediati: o funzionano a pelle e o non decollano mai.
Molti altri macerano nel loro essere o non essere, logorandosi nel tempo fino a scemare come una fiamma alla fine della candela.
Altri, i peggiori, nascono bene e ti si rivoltano contro improvvisamente come cani rabbiosi istigati dalla fretta, dagli imprevisti e dalla stanchezza.
…e noi dove ci collochiamo?

venerdì 25 marzo 2011

Il gioco della penitenza

La vita somiglia sempre più ad un insensato gioco per bambini.
Seduto, paghi pegno. Sempre, comunque, dovunque.
Di fronte a te una mano distesa, un dito per ogni scelta possibile: ognuno rappresenta un caso, tutti hanno uno scotto da pagare.
Siediti e respira profondamente.
Punta gli occhi sulle 5 dita. Fatti coraggio e scegli:
Testamento.

verrà aggiunto un lik per ogni voce. ci vuole solo un attimo di pazienza.

Dire.

Nella vita io sono un sacco vuoto. Di quelli magici, non di quelli che compri alla ferramenta per nasconderci un cadavere. La mia magia consiste nel fatto che chiunque guardi nel sacco riesce a vederci quello che vuole.
C’è chi il sacco lo vede sempre pieno: risate, disponibilità, affetto, amore. E chi lo vede irrimediabilmente vuoto. Semmai pieno di tutte le piccole cose brutte che ci minano la vita: falsità, immaturità, cattiveria, indifferenza.
Insomma, ce n’è per tutti.
Nella mia vita ho affrontato, finora, tre macrofasi. La prima era caratterizzata da una timidezza al limite del patologico. Ricordo che un prof., in seconda media, suggerì un aiuto psicologico perché vedeva in me un piccolo genio affetto da autismo. Non fossi stata così timida, l’avrei preso a calci nel sedere. Purtroppo ero incapace di reagire e il suo culo, sebbene chiacchierato, fu salvo. Da un lato posso capirlo: a 12 anni dipingevo, scolpivo, scrivevo poesie e testi così bene che voleva partecipassi ad un concorso letterario. Non ero certo l’ignorantona di oggi, viziata dal dialetto romano, dagli studi universitari e dalle parolacce in cantiere. Ero proprio una donnina a modo, dolce dolce, piagnucolosa, molto acculturata: insomma, una gran rottura di balle. Per questo ero costantemente isolata dai miei coetanei. Il mio isolamento, caro Prof. Maccario, non era volontario, bensì indotto. Lo sappia, una volta per tutte!
Al liceo e all’università mi sono rifatta. Ho avuto un rigurgito di insicurezza e sono esplosa in una bolla di euforia. Credo di aver passato il 50% del mio tempo a ridere e a scherzare. A liceo, ogni anno, appendevo in classe una caricatura di tutti i miei compagni. L’ultimo anno appesi in classe il manifesto funebre relativo alla morte del Prof.di latino. Uomo di grande umorismo e pendenza (camminava con una singolare inclinazione all’indietro di 30°) il Prof. Malizia era unico nel suo genere. Qualunque esso fosse.
La terza fase, l’attuale, è dovuta al fatto che gli ultimi anni di università e il lavoro hanno minato la voglia incondizionata di ridere che avevo e mi hanno regalato un carattere prevalentemente doubleface. E’ riaffiorata la mia personalità imbronciata pur mantenendo una continua voglia di novità e scherzi. E’come vivere con una personalità sereno-variabile: il sole splende con addensamenti nuvolosi a tratti.
Complice un tempo sempre più avaro, i rapporti sempre più frettolosi e superficiali congiunti con la mia personalità cangiante, ognuno vede in me quel che vuole.
E mi ritrovo a essere sacco, pieno di me, eppur vuoto. Di persone che mi conoscono così profondamente da poter ravanare nelle mie viscere a loro piacimento ce ne sono ben poche.
Parlando di me, nulla fu mai così vero come il detto: “se la mattina prima di uscire metterai in tasca un sorriso e un vaffanculo, stai pur tranquillo che la sera tornerai con le tasche vuote”.

Fare.

Lo so che morite tutti di curiosità: come si sarà risolta la questione casa? 
Niente paura, mo ve lo dico!

Riassunto delle puntate precedenti: l’ultima domenica di febbraio, come concordato telefonicamente con la proprietaria della casa dei mobili virtuali, ho inscatolato la mia vita e mi sono presentata nell’appartamento con denaro contate e penna per firmare il contratto.
Dopo un’ora ero di nuovo nella vecchia casa con gli scatoloni, la penna intonsa e tutti i soldi nelle tasche: la casa da affittare non era ancora abitabile. Appuntamento rimandato a metà marzo con tanto malumore e rodimento del baugigi (altro che sbiancamento anale). 

Tal travaglio interiore/inferiore s’accentuò la settimana seguente, quando la signora del virtuale, proclamandosi estremamente serena, di non volersi soffermare su inutili cavilli e volendo aprire un rapporto di cieca fiducia con me, mi chiese: documento d’identità, codice fiscale, patente, contatti dei precedenti proprietari di appartamenti in cui ero stata in affitto, copia della busta paga e dichiarazione da parte del titolare relativamente alla mia posizione e retribuzione in ditta. Prima che mi chiedesse il certificato di cresima, decisi di mettere uno stop. Continuai a cercare altri appartamenti e ne trovai uno più vicino, più economico, più grande. Invece di sparire nel nulla, mandai comunicazione alla tizia dicendole che la casa non mi interessava più e lei mi coprì di maledizioni che, col senno di poi, mi colsero tutte, dalla prima all’ultima.
Cominciai quindi le trattative per il nuovo appartamento. Da subito subito che avrei potuto entrare, sappiate che sono riuscita a prenderne possesso soltanto ieri dopo una notte di via vai con l’auto per completare il trasloco (grazie a Te che ci sei sempre). Mi sono ritrovata all’una di notte in una stanza piena di scatole, alla ricerca disperata di un paio di mutande che, chissà perché, erano nell’ultimo scatolone, quello in fondo alla catasta, quello proprio irraggiungile, sicchè…no, non sono andata in giro senza mutande, ho solo fatto un pieno di pazienza per poterle recuperare. Beh, non vorrei dir bugie. In questi giorni sono tutto fuorché paziente. Sembro un’erinni inferocita, vado in giro mordendo la gente. I motivi saranno presto detti:
  • Appena pagato l’appartamento abbiamo scoperto che il vecchio inquilino aveva disdetto le utenze. Avete mai vissuto a lume di candela, lavandovi con le salviette intime e cercando tepore senza avere accesso al riscaldamento?  Io no. Infatti, ristretti i beni di prima emergenza, ho bivaccato nel vecchio appartamento pagando una quota extra al vecchio padrone di casa. Peccato che…
  • …che il suddetto vecchio padrone di casa abbia cominciato a portar via le cose dall’appartamento. Mi sono vista sparire la lavatrice e la tv…mi sono sentita come la protagonista di un film che, in pieno pignoramento, si tiene stretta alla sedia per evitare che gliela strappino da sotto al culo. Ciò non bastasse…
  • …nel mentre che l’appartamento veniva depredato, ho dovuto pure sorbirmi un cazziatone dal vecchio padrone di casa perché, invece di comprarmi un appartamento, vado ancora in affitto. Inutile dirgli che, in riferimento al mutuo, la mia banca non è differente…è decisamente indifferente. Sicchè, stretta alla seggiola col piatto sulle ginocchia, mi sono sorbita una di quelle prediche magistrali che, sicuramente, mi ripeterà mia madre non appena la vedrò. Ecchevelodico a fa. Finalmente…
  • …arriva il giorno in cui tutte le utenze sono ripristinate. Ovviamente ciò è accaduto in un giorno lavorativo in cui avevo tantissimo da fare per cui ho fatto tardi e, altrettanto tardi, ho riportato le ultime rimanenze di trasloco nella nuova casa. Aperta la porta ho trovato di fronte a me una caterva di scatole da aprire, c’erano tutte tranne quella contenente la voglia di mettere a posto. Devo averla persa nel viaggio. Stanchissima mi sono buttata sul letto e lì sono rimasta…
  • …incastrata, arrotolata a mo’ di involtino tra il materasso e la rete. Abituata a letti durissimi simil ortopedici, lanciandomi sul letto sono affondata nella rete di non proprio recente acquisto. Il materasso sottile come una sfoglia e morbido come una mousse è sprofondato nella rete avvolgendomi tutta. E non dirò in che modo ho passato la notte, dirò solo che…
  • …che sono rimasta bloccata in questa morsa ovattata, io che sono abituata a rotolare di continuo su me stessa durante la notte. Mi sono svegliata incartapecorita, tutta dolorante, spossata, inacidita e incazzata. Mi restava solo di…
  • …rilassarmi con una doccia bollente. Tutta ignuda, mano sul miscelatore, vedo provenire dal soffione una pisciatina tiepida. Non fossi stata sveglia, avrei pensato che un cane mi stesse pisciando addosso. Urgeva l’intervento del tecnico, il quale…
  • …si è presentato stamane alle 6.30 ( :-/ ) per dirmi che il termostato è a posto ma la caldaia avrebbe bisogno di un trattamento decalcificante. Ma va??? E sei venuto solo per dirmelo???
E poi la gente si stupisce che a volte divento stronza e acida come uno yogurt scaduto.
Tenersi alla larga fino al prossimo aggiornamento.
Mordo.

mercoledì 23 marzo 2011

Baciare.

A volte mi capita che qualche parola ben detta, un sorriso, uno sguardo, mi provochino una reazione chimica che mi porta a pensare che la persona con cui sto interagendo possa avere la possibilità/opportunità di entrare nella mia vita. Statisticamente, nel 99% dei casi mi sbaglio.
Se una volta, quando ancora credevo al fatto che i ranocchi fossero principi in attesa di rendermi regina, facevo strage di rospi (stranamente riluttanti a baciarmi), oggi sono decisamente più disincantata. Al mito dei due cuori e una capanna, ho sostituito l’idea del mutuo trentennale e di due stipendi fissi legati indissolubilmente dal sacro vincolo del rateo bancario.
Diciamocelo, con l’età che avanza e con la consapevolezza che il futuro è una matassa di incertezze, stiamo un po’ tutti con i piedi per terra: se a 15 anni sei 3 metri sopra il cielo, a 30 cerchi di evitare di finire 3 metri sotto terra.
Dal punto di vista economico, io sono sempre stata una  strenua sostenitrice della formica mentre la cicala, dipendesse da me, potrebbe mettersi a suonare l’armonica sotto la metropolitana ripetendo indefessa “Salve signore e signorini, io essere cicala venuta da guerra, avere 3 bambini piccoli, no mangiare. Date me anche solo piccola monetina” salvo poi girare in Mercedes.
Dal punto di vista emotivo, attorno a me vedo svilupparsi una serie di relazioni a grappolo, tutte estremamente superficiali e dotate di data di scadenza. Non c’è più la voglia di conoscersi e di capirsi, bensì il bisogno di bruciare le tappe. Il minimo scontro è una buona occasione per vomitare addosso all’altro quanto di peggio imparato negli anni. Si procede per tentativi, una persona dietro l’altra, come in uno speed-date (sia mai che si perda un istante di più con la persona sbagliata): di solito al soggetto/oggetto di turno vengono fatti pagare gli errori commessi da altri in passato. Quindi giudichiamo se è accondiscendente , se paga al ristorante, se porta i fiori, se ha le tette grosse, se chiama per prima, se non fa notare i propri errori, se bacia bene, se la da o no al primo appuntamento, ecc. Al primo errore, si chiude e si passa al prossimo.
Ritenta, sarai più fortunato.
Eppure ci sono gesti vissuti con lentezza e con attenzione, minuziosi nel loro essere accurati che si scolpiscono nel cuore e lì vi rimangono per sempre. Ricordo un freddo pomeriggio di gennaio, il sole negli occhi e tanto imbarazzo. Una passeggiata, mano nella mano e il tentativo di un bacio.
Andato male.
La donzella in questione, e non dirò chi è, scappò con fare inorridito.
Un gesto del genere avrebbe sconfitto anche il più valoroso dei cavalieri. Tutti tranne uno.
Avendo imparato nel tempo pregi e difetti, vizi e virtù, della fanciulla in questione non si ritirò indignato maledicendola, anzi…la invitò nuovamente ad uscire, di nuovo mano nella mano, le carezzò i capelli e infine la baciò.
Ci sono momenti che sono eterni, come eterno è il loro valore.
A.A.A. Cercasi animi ad alta densità emotiva.

martedì 22 marzo 2011

Lettera.


Non siamo in guerra. Abbiamo un permesso speciale da parte dell’Onu per andare a lanciare qualche missile. Niente di che. Dormite pure tranquilli.
Solo qualche mese fa scendeva pomposamente da un aereo un certo Gheddafi, vestito da generale come in un vecchio film di guerra, amante delle tende, dei cammelli e delle donne. Noi italiani che, da sempre, siamo noti per la nostra accoglienza, ci siamo messi a disposizione a 360° (da intendersi come 4 volte a 90°) e gli abbiamo dato le tende, i soldi e qualche centinaio di ragazze da ciularsi, talmente brave che, per qualche 100 euro, si sono pure convertite all’Islam. Sia mai che ci facevamo sparlare dietro.
E’ stato trattato così bene che, piuttosto che andare a Disneyland, preferiva venire in Italia. E c’è venuto spesso! Si piazzava con tutto il circo che si portava dietro ed era un continuo di festini, leccate di culo, bunga bunga, deliri polico-religiosi, ecc. E non necessariamente questo avveniva in momenti diversi. Spesso erano un tutt’uno, tanto che, a vederli, non capivi se il circo s’era dato al porno, se il porno s’era dato alla politica o se era la politica che s’era data e basta.
Fatto sta che a noi ci garbava tanto vederlo girare in tunica per le vie di Roma. Girava tutto impettito come i padroni, un tempo, giravano in mezzo agli schiavi: ci prendeva per il culo, gli davamo qualche soldo e lui risaliva sull’aereo e se ne andava. Roba che nel medioevo l’avrebbero trovata una ridicola barbarie. C’è da dire che era anche generoso, ricordo che una volta diede pure delle onorificenze: le famose «medaglie di benemerito della Jamahiriya», come dire i migliori amici del colonnello Gheddafi. Ricordo che, tra gli altri, c' erano un certo Andreotti, un tale Dini e un sig. Sgarbi (dove si ciula, lui c’è sempre). Fu un grande onore, non c’è che dire, in fondo stiamo solo parlando di un tale che ha instaurato un regime dittatoriale ampliamente colluso col terrorismo internazionale. Niente di che.
Fatto sta che eravamo proprio contenti di essere amici col colonnello. E non perché dipendiamo da lui per gas e petrolio! Era solo questione di empatia!
Poi un giorno, accade che accendi la tv, e senti che l’Italia sta facendo da cuscinetto tra gli attacchi franco-americani e la Libia. Il che è un po’ come mettersi in mezzo ad una sparatoria e sperare di uscirne indenni. Questi attacchi, sia chiaro, non c’entrano nulla col petrolio! Sono solo attacchi umanitari. Precisiamolo subito che poi la gente è maliziosa e ripensa a quello che è accaduto con le missioni di pace in Iraq, Afganistan, ecc.
Qualcuno però si deve essere posto delle domande: se noi facciamo solo da base da appoggio ci becchiamo solo qualche missile e i profughi. Gli altri, invece, lanciando le bombe da casa nostra, hanno le mani pulite, i profughi non li vedono nemmeno e si spartiscono le risorse libiche. C’è qualcosa che non torna. Non sarà il caso che qualche aereo lo facciamo partire anche a nome nostro che magari avanza qualche barilotto di petrolio e ce lo prendiamo noi?
Fatto sta che, a oggi: mezza Libia è a Lampedusa mentre l’altra metà è su qualche barcone in arrivo; c’è un via vai di missili sulle nostre teste; i nostri politici sono contriti perché l’amicizia con Gheddy è andata a puttane (e non solo letteralmente) e molto probabilmente ci beccheremo qualche attacco terroristico (uno di quelli scampati da Bin Laden). Ma niente paura, non siamo in guerra. Dormite pure tranquilli.

lunedì 21 marzo 2011

Testamento

Fino a ieri non si parlava d’altro. Oggi è già notizia di seconda pagina visto quel che sta accadendo nell’area denominata “Hic sunt leones”. Il Giappone ha tremato. Il che, di per sé, per chi ha un minimo di conoscenza geologica, non è una novità. Ci sono paesi, come questo, che sono abituati a convivere con gli eventi naturali di tipo disastroso. Per noi che imprechiamo quando piove perché la città si congestiona, non è un concetto di facile intuizione, ma ci sono uomini che sono abituati a gestire potenze naturali come le piogge monsoniche, gli spostamenti tellurici, le esplosioni vulcaniche, gli tsunami, ecc. Cose che noi, occidentali medi, conosciamo solo perchè viste in qualche film americano che, si sa, agli americani piacciono un sacco questi film in cui tutto va a scatafascio per effetto di eventi calamitosi inarrestabili. Eh sì che dovrebbero pensare a preoccuparsi dell’attesissimo Big One che aspetta solo il momento giusto per fare festa…
Ma ritorniamo dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. In Giappone la convivenza con terremoti e vulcani ha fatto sì che si sviluppasse una profonda cultura dell’emergenza, una cosa che in Italia/Europa ce la sogniamo. Gli edifici sono costruiti in modo da resistere alle onde trasversali impresse dai sismi, le persone sono educate al comportamento da tenere in caso di emergenza, il sistema di soccorso è sempre attivo: tutto ruota attorno all’ottimizzazione della situazione che si viene a creare, qualunque essa sia.
Chi ha un’infarinatura di progettazione di edifici civili e non, o chi ha una nozione minima del tempo di ritorno dei fenomeni disastrosi, non si stupirà di quanto è avvenuto con l’ultimo terremoto. A volte quanto si parla di strutture antisismiche si pensa a edifici in grado di resistere a tutto. In realtà la progettazione  è finalizzata a resistere fino ad un evento pericoloso con un certo tempo di ritorno. Ciò significa che, immancabilmente, accadrà un fenomeno, di qualsiasi natura, che purtroppo andrà ad inficiare la sicurezza della struttura. Si tratta di eventi rari, ma raro vuol dire che accade con una probabilità bassissima, vicino allo zero, ma non nulla.
Al di là dell’impatto emotivo delle migliaia di morti, dei profughi, delle abitazioni distrutte, effetto che svanisce tempestivamente all’accadere di una nuova catastrofe (si veda il quasi dimenticato caso di Haiti),  quello che adesso è terrorizzante è l’effetto delle radiazioni. Come gran parte dei paesi più evoluti, il Giappone sfrutta egregiamente l’energia nucleare. Per quanto la costruzione di una centrale nucleare sia tale da dover rispettare delle misure di sicurezza inimmaginabili, nessuno è in grado di prevedere con quanta forza la natura possa accanirsi sull’uomo.
Ricordo che il mio professore di geotecnica, parlando dei metodi contenitivi per il pericolo frane, ci ricordava spesso: “per quanto possiate essere bravi, per quanto possiate pensare a tutto, se la montagna ha deciso di cadere lo farà.”
Nel caso del Giappone, la terra ha deciso di muoversi e lo ha fatto. Messa da parte la solidarietà, adesso vige la paura per ciò che sarà. Per quanto si possa ricostruire la vita, le radiazioni persistono indefesse: si parla di tempi di decadimento pari a migliaia di anni (Plutonio: 24mila anni.). E questo non è un problema esclusivo del Giappone. Pensate al pasticciaccio bruto del mercato globale: da dove viene il pesce che mangiate? La verdura che comprate? Gli abiti che portate? Dal mercatino sotto casa? Vogliamo poi parlare della pioggia e dei venti che spargono le particelle radioattive come zucchero a velo su di una torta?
In questi giorni si parla di referendum sul nucleare. Io non so quale sia la scelta più opportuna. Da un lato si parla di un’energia che permetterebbe l’affrancamento dal petrolio con conseguente riduzioni degli scempi che si fanno per l’oro nero. A ciò si sommerebbe il fatto che gli incidenti nucleari sono eventi rari. Scegliendo dei siti adatti e del personale qualificato, avremmo una discreta sicurezza.
Dall’altro un incidente nucleare, per quanto raro, ha effetti devastanti. Certo, non avere centrali sul suolo italiano, non è certo una garanzia di incolumità visto che oltralpe, i cugini francesi, hanno ben pensato di costruire le loro centrali proprio sul confine nazionale. Insomma, al momento viviamo il rischio senza usufruire del beneficio.
Senza contare che viviamo già a costante contatto con nemici ben più subdoli e silenziosi che, in quanto tale, sono spesso passati in secondo piano: la nostra vita è irrimediabilmente inquinata e marcia. Polveri sottili, inquinamento acustico, smog, salinizzazione delle acque, rifiuti, elettromagnetismo, percolati che inquinano le falde, ecc. Siamo così abituati a tutto ciò che il pericolo nucleare ci sembra più importante di quello che viviamo giornalmente.
Fondamentalmente è come andare in auto e avere paura dell’aereo. Nonostante l’auto sia notevolmente più pericolosa,  l’incidente aereo ci colpisce di più perché fa più vittime in un unico evento e ci colpisce di più a livello emotivo.
In questi casi, esiste solo un sistema per venirne fuori: regole e informazione. Sempre, comunque, ovunque.

P:S. questo post non voleva essere un elogio al mondo nipponico visto che, a me, del Giappone l’unica cosa che piace è il sushi.
P.P.S. Chi si aspettava un post divertente si rifarà alla prossima puntata, oggi ero in modalità “opinionista tv”. A Ferrara danno 3mila euro al giorno per dire la sua, io ve la dico gratis, contenti???

domenica 13 marzo 2011

Liberi liberi!!!!

Un giorno:
 “Ha chiamato uno, ha detto che era urgente e che dovevo prendere nota per un ordine ma io non ci stavo capendo niente e allora gli ho detto di mandarti un’email. Ho dovuto pure insistere, non voleva mandarla, diceva che era troppo urgente!”
“ …. non hai pensato che potevi fare qualcosa tu? Ad esempio, informati su cosa c’era da farsi di così urgente???”
“beh, ma io non lo capivo proprio!!!”
“dai, dimmi chi è, così lo richiamo”
“boh, non ho capito nemmeno il nome, ma tanto ti manda l’email … ha pure insistito!”


Un altro giorno:
“l’hai finito quel lavoro?”
“quale?”
“Quello che il capo ti ha detto di fare una settimana fa!”
“Ah, vabbè, lo faccio ora.”
“Guarda che ci vuole tempo, non riuscirai a finirlo per il pomeriggio!”
“Dici?”
“Dico!”
“Ah, ok”.
Dopo due ore rientra il capo. Lei gli si avvicina tutta contrita.
“E’ successo un pasticcio! Tutto il lavoro che avevo fatto è andato perduto! E’ sparito il file! Giorni di fatiche svanite nel nulla. Tutto sparito!”
“Sparito?”
“Sì, SI E’CANCELLATO DA SOLO!”
Io la guardo con occhi sgranati. Il capo la guarda perplesso. Io e il capo ci guardiamo.  
Nella mia mente, una scarpa antinfortunistica vecchio modello con punta metallica rinforzata si solleva nell’aria e si schianta sul suo naso.


Un giorno dei tanti:
“Domani devi andare al comune di Culonia per il ritiro di alcuni documenti . Ho pensato a tutto io!” quando dice così il sangue mi si gela nelle vene
“ Sei sicura di aver  ben capito la procedura?  gli orari e quant’altro  possa essere utile a definire i tempi?”
“Vai tranquilla!!! Fidati di me!!!! Devi solo andare a Culonia, mettere una firma e tornare indietro!”
“…quindi se ci vado di pomeriggio non rischio di rientrare tardi, vero?”
“Ceeeerto!”
Culonia. Due ore per raggiungerlo. Mezz’ora per trovare parcheggio. Due ore in fila per ritirare i documenti perché l’appuntamento non era stato fissato. Un’ora persa per fare un sopralluogo che QUALCUNA non aveva annotato. Altre due ore per rientrare e una fottuta pioggia a tenermi compagnia.
Uscita alle 14.30, sono rientrata a casa alle 20.00.


Probabilmente nessuno si sorprenderà se dirò che vedere la sua lettera di dimissioni sulla mia scrivania mi ha dato la stessa soddisfazione di un’evacuazione del lobo fecale dopo giorni di costipazione. E ogni riferimento non è puramente casuale.

lunedì 7 marzo 2011

Protesta pubblica

Voglio ufficialmente protestare contro la programmazione mattutina di Italia1.
Fino alla scorsa settimana, il mio caffè amaro bollente era allietato da una visione altamente culturale e che ben mi predisponeva alla giornata a venire: Pollon.
Sono ormai giorni che il programma è stato posticipato a favore di “Marco dagli Appennini”.
A parte che sto Marco è l’alter ego maschile di Heidi, non potete mettere questi drammoni famigliari di prima mattina. Mi si inacidisce il latte a sentirlo frignare perché la mamma è andata via e non si riesce a trovare più nemmeno con l’aiuto dei cani molecolari.
Caro Marco, se tua madre ha messo un oceano tra lei e la famiglia un motivo ci sarà! Che sia forse lo stesso motivo per cui tuo padre ti ha affidato, senza pensarci un attimo, ad una manica di marinai in rotta verso l’Argentina?
Insomma, capirete, che iniziare la giornata con un bambino che corre, corre sempre, con una scimmietta appollaiata sulla spalla e che urla “Mamma mamma” non è il massimo. Esco di casa già con l’ansia. Ad ogni rumore mi volto di scatto e temo che mi aggredisca qualche scimmione che si vuole stabilire sulla mia povera spalla!
Non si può. Ridatemi Pollon e la sua polverina magica; Zeus e le sue corse infinite, arrapato, dietro ogni fanciulla che incontra; quel bruttone di Eros e la gelosia di Era; il mitico Apollo e l’ancor più mitico Dosankos!
Tra l’altro, dopo aver visto la programmazione di oggi, non mi stupisco che i giovani d’oggi siano allucinati:
  • Marco dagli Appennini alle Ande (fatecelo rimanere pe’favore)
  • Doraemon (e quell’antipatico di Nobita!)
  • Pollon (finalmente!)
  • E, subito dopo, la replica di Dottor House che si apre con l’immagine di uno che viene crocefisso e comincia a sputar sangue da ogni poro.
Altro che effetto choc! Mi è andato il latte di traverso!
Suvvia, Mister B, mi consenta, altrimenti da domani cambio canale.

giovedì 3 marzo 2011

Rivelazioni da Venere per gli abitanti di Marte

Nulla soddisfa una donna come un jeans che veste improvvisamente largo. I motivi sono principalmente due:
  1.   Le donne hanno sempre, geneticamente, un jeans nell’armadio di una taglia di meno. Comprato solitamente nel terribile periodo di simbiosi tra saldi e dieta, viene conservato con cura, teoricamente, come sprono a perdere qualche chilo. In realtà serve unicamente a scegliere quale umore indossare di lì alla settimana seguente: mi entra à giubilo e feste senza fine; non mi entra à lampi, tuoni, fulmini e saette!
  2.   Un jeans è una sfida con se stesse! Questo, infatti, è un capo d’abbigliamento infido. Mentre la viscosa, la seta, la lana, il poliestere, il pvc cinese o la tela di sacco, tendono a cedere, un po’ per il calore del corpo ma soprattutto per lo sforzo a contenerci, regalandoci qualche millimetro in più, il jeans non cede. MAI. Anzi, lavandolo, le fibre si restringono ancora più perfidamente!

Combinando i due punti precedenti, riuscire ad indossare un jeans di una taglia di meno, fresco di bucato, è un evento che sa di leggenda. Non conosco nessuno che ci sia riuscito a meno di affettarsi mezza chiappa di culo. E non valgono i jeans elasticizzati, che lo sappiamo tutte che prima o poi cedono le fibre elastiche!
Indossare un jeans stretto è come concentrare decine di posizioni yoga diverse nelle stesso momento. Ho visto donne contorcersi per entrare in una taglia 42, altre sciogliersi la panza con l’acido muriatico per una taglia 40. Nei casi più umani la vestizione coercitiva procede per fasi: vengono infilate prima le caviglie e, fin qui, nella maggior parte dei casi, non ci sono problemi. Successivamente si alza il jeans: il primo punto di arresto arriva al livello dei fianchi dove, per una qualche strana combinazione infausta, le cosce diventano simili a tronchi di baobab e comincia la curvatura di quel cofano che molti chiamano culo.
 Lì possono verificarsi due eventi: 1) il jeans si rifiuta di salire e vi sputa in un occhio; 2) il jeans sale faticosamente pur essendo evidentemente più stretto del vostro giro fianchi di almeno 2 centimetri. In quest’ultimo caso, la donna, dotata naturalmente di grande fiducia nei casi impossibili, comincia a saltellare sul posto tirando con forza i jeans verso l’altro. I cuscinetti di cellulite cominciano a distribuirsi su tutto il corpo soprastante per poter permettere al tessuto di salire. Dopo circa un centinaio di saltelli che manco Sylvester Stallone quando interpretava Rocky, le unghie rotte per lo sforzo di tiro, i fianchi modificati innaturalmente causa jeans incastonato nelle cicce inamovibili, la donna si ritrova col pantalone alla giusta altezza ma con tutti gli intestini e i lardelli puntati verso l’alto. Questo di solito non è un problema, anzi funge da push up naturale:  vi ritrovate in un attimo in un jeans strizzatissimo di una taglia di meno e le sise che stanno su da sole. Poco importa se non riuscirete più a respirare e a sedervi per il resto della giornata.
…MA non è finita qui! Come voi ben sapete, signorine, all’ascolto, oltre a far salire il jeans bisogna chiuderlo!
La zip è la prima che cede. Nel senso che si da per vinta, si suicida e non si muove più.
Quello con cui bisogna vedersela è il bottone. Quel fottutissimo bottone di metallo.
Se il jeans proprio non si può chiudere si capisce subito: se tra il bottone e l’asola c’è uno spazio vuoto di 5 centimetri è inutile che tirate. C’è poco da fare. O tagliate la panza o tagliate la panza. Rinunciate e basta. Gna potete fa.
Se, invece, tra il bottone e l’asola c’è una distanza di un centimetro circa, potete provare a lottare prima di perdere le speranze. Le tattiche vincenti sono, di solito:  1) tirare la pancia così tanto in dentro da svuotare, non solo i polmoni, ma anche la milza, il fegato e il pancreas. E’ una tecnica che funziona ma rischiate un’emorragia interna entro i successivi 5 minuti; 2) stendersi sul letto sfruttando l’effetto di gravità che permette alla pancia di rientrare un poco. Funziona ma non riuscirete più ad alzarvi dal letto a meno di ritrovarvi la cinta incastonata tra le costole.
 In entrambi i casi siete delle armi a tempo: quando meno ve lo aspettate il bottone esploderà uccidendo la prima persona che capita a tiro.
Con questo non voglio invitarvi a gettare le speranze! Nei libri di storia, si narra infatti, che può accadere che, provandovi quel vecchio jeans mai indossato causa disavanzo di massa grassa, vi entri magicamente, vi scivoli sulle gambe come un guanto, si abbottoni senza fatica e … vi vada un po’ largo. Se questo dovesse accadere anche a voi, sappiate che:
  •    State sognando;
  •  Siete stati a Lourdes;
  •  Vi hanno sostituito durante la notte con il vostro clone più magro;
  • Vi hanno sostituito il jeans con uno più largo;
  •  Il macellaio sotto caso vi ha tolto du’fettine de culo;
  • Siete dimagriti.

Indovinate a me cos’è accaduto?

mercoledì 2 marzo 2011

Cercasi estetista per abbondante pelo sullo stomaco

Poco più di un mese fa:


Non so se mi sorprende più l'analogia tra i due casi, la mancanza di senno che affligge molti giovani, la troppa droga (sia essa stupefacente, alcool o soncazzoio quello che usano) che li brucia o chi cazzo gli da i soldi per distruggersi così. A queste notizie si aggiungono quelle di routine sul mignottaggio politico o meno che ti sorprendono a chiederti quando dare della puttana è passato da insulto a status sociale vincente di escort.
Nella mia vita ho sempre lavorato e studiato. Ciò nonostante, pur uscendo la mattina e rientrando a sera, non riesco a comprarmi casa, figurati se penso a buttare nel cesso i frutti del mio sudore comprandomi merda che mi tira su facendomi sprofondare. Cinica, truce e insensibile quale io sono, nel leggere notizie di questo tipo non ho alcun moto di compassione. Semmai di paura perchè penso che i giovani di oggi sono il futuro di domani. Continuo però a sperare e fortissimamente credere che non siamo tutti così.
Tiriamo fuori le palle per viverla davvero sta vita. Cazzo!

martedì 1 marzo 2011

Poincarè, te la spiego io la teoria del caos

Riassunto delle puntate precedenti: eravamo rimasti alla poca proficua ricerca di casa e allo scadere del trasloco sempre più imminente.
Alla fine, complice la fine del mese che non si attardava ad arrivare, ho deciso per la casa dei mobili virtuali dopo aver ben specificato al proprietario che solo ai mobili reali corrisponde denaro reale.
L’appuntamento era per lo scorso weekend: casa ammobiliata, scatoloni a gogo, firma del contratto e cash. Con ciò capirete come sabato mi sia martoriata nell’inscatolarmi la vita dentro laidi pacchi di cartone: polvere ovunque, fagotti dappertutto, cassetti all’aria, il tutto di corsa perché il tempo era ormai esaurito.
Arrivata alla mia nuova dimora ho capito il perché del detto: “prima vedere cammello, poi pagare”.
Te pareva che non mancava qualcosa! Sarebbe sembrato troppo bello, non credete?
La conclusione è stata che me ne sono ritornata con tanto di scatolame alla vecchia casa nell’attesa che quella nuova sia pronta. Ho stracciato le vesti e pianto, asciugando coi miei capelli i piedi del vecchio padrone di casa affinché mi facesse restare un altro pochino nel mentre che l’altro appartamento non fosse pronto.
Quando lui mi ha risposto: “Va bene. Ma perché non te l’avevo detto che mi hanno prorogato la consegna di casa di un mese?” m’è partito in automatico un vaffancuore che resterà nella storia.
Alla fine dei conti abbiamo che:
-         sono ancora nella vecchia casa in assetto di guerra. Avendo inscatolato tutto non posso rimettere tutto a posto. Quindi ogni giorno c’è la lotteria: “qual è la scatola da aprire per trovare le mutande?”
-         sono vincolata verbalmente ad una nuova casa piccolissima e un po’cara. Mi verrebbe voglia di cercare altro ma la parola è parola
-         nel preparare gli scatoloni ho perso, svaniti nel nulla, un paio di orecchini e un pacchetto di fette biscottate. Ora, vada per gli orecchini che sono piccoli e possono sparire, ma come fanno a sparire nel nulla 40 fette biscottate ai 7 cereali?
     Sono in un universo parallelo? Se l’è magnate il fantasma formaggino?
     Ai posteri l’ardua sentenza.