domenica 24 febbraio 2013

Chiudere porte per aprire portoni.


OK. Sono pronta. Sta per iniziare una nuova avventura.
Pare che sposandomi abbia sovvertito chissà quale ordine mondiale per cui, al ritorno dal viaggio di nozze, ho trovato uno scombussolamento generale che, pian piano, mi ha rivoltato la vita. Non starò qui a tediarvi sulle vicende, piccole e grandi, che gravano questi giorni. Parlerò solo di una, la più epocale: la chiusura dell’impresa dove lavoro. Sono mesi ormai che subodoro aria di grandi cambiamenti. Soffocati dai debiti, sono rimasta l’unica dipendente: la mattina arrivo in ufficio e, come si suol dire, me la canto e me la suono.
L’idea inizialmente era quella di una ristrettezza generale prima di un nuovo avvio. Poi, lo sfacelo.
Sono stati giorni di urla, crisi depressive, paranoie: momenti claustrofobici si alternavano a stati di inerzia mentale. La chiusura di un’impresa è sempre un’operazione dolorosa, soprattutto se si è soli a fronteggiare i cambi umorali del titolare. Mettiamo da parte le numerose ore a vederlo piangere per la disperazione, le ore passate a sbraitare nella convinzione che tutti l’avessero frodato, le numerose ore in cui mi prendeva in giro dicendomi che era solo un momento salvo poi ammettere che aveva già deciso, i momenti in cui si disperava per la mia sorte e quelli in cui malediva la sua.
Mettiamo da parte tutto questo, noi siamo forti, non sarà un frullato di emozioni ad abbatterci. Giusto? Giusto.
Veniamo a noi.
Cosa sarà di domani?
Tra qualche mese saranno ultimati i lavori in corso, sarà apposta la firma sull’ultima pratica, l’ufficio venduto, i faldoni spostati, i progetti accantonati, la macchina del caffè spenta.
E allora cosa accadrà?
Fallita l’idea di vendere l’impresa con me dentro (idea del capo), bisogna chiudere tutto, vendere tutto, cancellare tutto. Essere come se non si fosse mai stati.
Cosa sarà di me?
Donna, 32 anni, appena sposata.
Ho qualche chance che qualcuno non rigetti a priori il mio curriculum pensando che alla prima occasione sforni un paio di figli e mi renda irreperibile?
Ho qualche possibilità di introdurmi in un mondo del lavoro per cui sono o troppo poco o troppo tanto specializzata, per cui ho un’età a cui è poco probabile un contratto di apprendistato a zero contributi, per cui l’essere donna è un handicap di non poco conto?
Chi sarò domani? Cosa farò?
Signori, non perdiamoci d’animo. Qualcosa accadrà.
Io ci provo. E voi?

venerdì 8 febbraio 2013

C'è posta per te!


Luogo: Ufficio Postale.

Premessa: Porto con me 5 buste da spedire con Raccomandata1, un prodotto postale per cui è prevista, se richiesta, la fattura.

Il fatto:
Io: “Buongiorno Signora, devo fare queste raccomandate per cui mi occorre la fattura”
Tizia: “La fattura?”
Io: “Sì, la fattura”
Tizia: “Ma vuole la ricevuta fiscale o la fattura?”
Io: “La fattura”
Tizia: “Ma cosa intende lei per fattura?”
Io: “….” Ma che me stai a pija pe’culo
Tizia: “….”
Io: “Le cosa intende per fattura?”
Tizia: “Aspè che chiedo!” annamo bene!
Tizia, girandosi verso la collega: “Lina, qua c’è una che deve fare la fattura” detto come se avesse voluto dire che le stavo per fare la cacca sulle scarpe.
Lina si alza e mi chiede: “Ma vuole la ricevuta fiscale o la fattura?”
Io: “La fattura!” ommmioddio, sono su scherzi a parte!
Lina: “Ma lei cosa intende per fattura?”
Nel mentre tizia: “Eh, gliel’ho chiesto pure io!”
Io: “Di solito, almeno negli altri uffici postali in cui sono stata, gli addetti allo sportello si scrivono i dati fiscali e il numero di raccomandate fatte, dopo di che le Poste Italiane recapitano la fattura relativa in ufficio”
Lina, girandosi verso Tizia: “Ah, vuole  la fattura!”
Tizia: “Eh, sì, vuole la fattura”
Sì, voglio la fattura, cazzoooooo!

Tempus fugit

Azz... è un mese che manco! E sì che vorrei dire tante tante tante cose, purtroppo il tempo è sempre troppo poco! Sono rimasta sola in ufficio e le pratiche sono tante e trovare 5 minuti di tempo è diventato un lusso. Spero di recuperare! Perdono!