martedì 31 agosto 2010

Buon Blogheanno

E' passato un anno da quando ho cominciato a scrivere qui. Senza troppa convinzione e senza nessuno scopo se non quello di continuare il diario cartaceo che già compilavo da anni. Va da sè che i contenuti sono diversi, che le vicende vengono raccontate in modo da non rendere riconoscibili i personaggi e che di tante cose che vorrei dire molte sono sottoposte ad autocensura. Quel che resta uguale di fondo è me stessa. In ogni pagina, nascosta anche dietro una virgola, ci sono io. Questo mi basta. Rilleggermi nel tempo mi aiuta a ricordarmi chi ero e la mia strada, ogni post è una briciola lasciata sul sentiero del tempo per riuscire a non perdermi nell'andare dentro e fuori di me. Grazie a chi passa e mi legge, a chi si ferma a scrivermi un commento e a chi i commenti me li fa di persona. Grazie soprattuto alle persone che ho avuto la fortuna di conoscere e che mai avrei potuto incrociare nella mia vita. Al prossimo anno.

lunedì 30 agosto 2010

Gente con la puzzetta sotto il naso

Mastrolinda è tornata. L'abbiamo già conosciuta qui, qui e qui.
“Uhm, che buon profumo!”
“Dici a me?”
“E’ un Bulgari vero? Lo riconoscerei tra mille, solo Bulgari sa fare delle opere d’arte come queste! Ce l’ho anche io, me l’hanno regalato al compleanno, per me sarebbe stato irraggiungibile! Come ti tratti bene! E’ davvero delizioso! Bulgari è sempre Bulgari, chissà quanto l’hai pagato!”
“Ehm…intorno ai 5 euro, o giù di lì, è un deodorante al the verde di una marca abbastanza commerciale…”
“Non è il mio Bulgari?”
“Ehm…no.”
“…”
Il suo sguardo schifato è valso più di mille parole.

domenica 29 agosto 2010

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, di Mark Haddon

Sono una persona compulsiva. Nei sentimenti, nel lavoro, nel cibo, nei libri e in ogni cosa mi riguardi da vicino.  L’amore per i libri nasce in passato lontanissimo da bambina disadattata. Ho letto nella vita tanti di quei libri che se li avesi comprati tutti potrei aprire agevolmente una libreria. Ho consumato i miei occhi su carta e inchiostro sviluppando una fantasia a volte eccessiva. Di quel che sono stati i libri per me e tutte le mie altre forme di compulsione non è ancora il momento di parlarne, ma dedicare un post per qualcuno dei libri che ho letto/sto leggendo/leggerò non potrebbe farmi male.

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, di Mark Haddon, si presenta come un giallo dal titolo accattivante. Promette un’avventura simpatica e, nell’acquistarlo, sono certa di avere tra le mani un degno successore di Margherita Dolcevita. Niente di più sbagliato. E’ il diario di un bambino con una forma più o meno grave di autismo, con grosse difficoltà di relazione col mondo esterno. Leggendolo mi resta lo stesso senso di incompiutezza e di amarezza che ho provato leggendo “La solitudine dei numeri primi”. Forse entrambi i testi non sono tra loro estranei. Quello che doveva essere il giallo da risolvere è solo un fatto marginale alla storia che viene concluso nei primi capitoli. Il resto è il racconto, in prima persona, di una fuga, di tante domande che non riescono ad avere risposta. Nel suo candore, il giovane protagonista, sembra un po’ smontare le tante convizioni e convenzioni che gestiscono la nostra vita. Forse l’intento dell’autore era quello di mostrare che dietro l’autismo c’è una personalità pensante che, tra mille difficoltà, riesce ad ottenere quello che desidera. Quello che mi resta invece è un senso di frustrazione verso una famiglia sfaldata, l’incapacità di amare un figlio nella sua eccezione, la rabbia che domina gran parte dei personaggi primari. Quasi sicuramente quello che riesco a percepire dal libro è condizionato dalla mia storia e mi soffermo su particolari che mi toccano personalmente, probabilmente letto da una mente scevra da ogni pregiudizio l’opinione sarebbe decisamente benevola. Nel mio piccolo, lo consiglierei solo perché rappresenta una finestra isolata sul mondo degli emotivamente dissociati. Per adulti e bambini, soprattutto.
"Qualche volta quando mi trovo in un posto nuovo e ci sono tante persone intorno è come e il computer andasse in palla e devo chiudere gli occhi e mettermi le mani sulle orecchi e comincio a gemere, che è come premere CTRL + ALT + CANC  chiudere tutti i programmi e spegnere il computer e riavviare in modo da ricordare ciò che sto facendo e dove devo andare."

venerdì 27 agosto 2010

La rivolta della tecnologia

Più volte ho qui ribadito che, nonostante la mia professione, la tecnologia ha un ruolo marginale nella mia vita. Gli unici ammennicoli elettronici che posseggo sono di mia proprietà solo perchè mi risultano utili e non potrei farne a meno. Insomma...difficilmente mi vedrete in una fila chilometrica all'alba per comprare l'ultimo sturapenne costosissimo della Apple (tanto per citarne una, per me sono tutte uguali).
A volte capita che la mia esigua scorta elettronica si ribelli creandomi problemi non proprio irrilevanti. Accade in questi giorni contemporaneamente:
  • quando sono a casa il blackberrie si incarta su se stesso e prende un minimo segnale di vita che gli consente di ricevere telefonate ma non permette la conversazione a meno che non ci si metta in un angoletto del giardino adiacente quello del vicino. Immaginate cosa vuol dire svegliarsi e correre in mutande per rispondere ad una chiamata? 
  • il mio Asus X61Z, 'tacci sua, ha deciso di interrompere improvvisamente il suo funzionamento impedendomi di accedere al lavoro svolto nelle settimane precedenti. Il motivo: sconosciuto. Le conseguenze: inimmaginabili. La reazione: per ora solo improperi, ma conto di passare presto alla violenza fisica.
  • il decoder e l'antenna condominiale hanno divorziato privandomi dei programmi rai e proponendomi una curiosa versione di Italia1: alcuni film e telefim sono trasmessi in lingua originale. Come avvenga ciò mi è ignoto ma concilia facilmente il sonno vedere un filmetto americano con qualche squinzia che ciancica un "It's americanboi! awanagana!". Mi ricorda tanto Alberto Sordi! 
Io non so cosa vi ho fatto, vi chiedo scusa se qualche volta vi ho disdegnato per un libro. Vi prego, riprendete a funzionare!

mercoledì 25 agosto 2010

E ancora parla...

“Sei sicura di aver inviato  il documento?”
“Sì sì, ho passato tutto il pomeriggio a scansionare”
“…namo bene…”
“eh?”
“ok, hai scansionato. E poi l’hai inviato?”
“certo, dodici pagine!”
“vabbè, le avrai riunite in un unico file!”
“no, non so come si fa!”
“vabbè... Comunque volevo avvisarti che il tuo file non è arrivato, hai visto le dimensioni che aveva?”
“Sì, tanto erano solo delle paginette!”
“Insomma, 307MB a paginetta!”
“Mica è tanto, guarda il file che ho inviato ieri: 408KB!”
“Quindi?”  .. devo smetterla di fare queste domande...
“Se è arrivato quello da 408 figurati quello da 307!”
“Ma che dici, uno è in mega e l’altro è in kilo!”
“….”
“Un kilo entra mille volte in un mega!”
"Lo so!!" te pareva che diceva che non lo sapeva...

Due minuti dopo:
“Perché hai modificato il mio file?”
“Perché era sbagliato, avevi saltato dei giorni di annotazione”
“NON è POSSIBILE!!!” eccola là…
“Ti dico di sì, se vedi bene ho lasciato il file fatto da te senza modifiche e io ne ho fatto un altro
in modo che puoi notare la differenza”
“Sono uguali!!!” Santa Cecilia, aiutaci tu!
“Insomma,guarda bene!”
“Entrambi vanno dal 12 al 30!”
“Eh, no, il tuo va dal 12
“Al 30!”   'tacci tua, famme risponde!
“No! Va dal 12 al 16 e poi dal 23 al 30!”
“Non è possibile!”
“Guarda!”
“Non è possibile!!!”

Ossignur, è passata solo
mezz’ora da quanto è arrivata e già mi sento la bile in gola.

martedì 24 agosto 2010

Show must go on

Driiiin Driiiin Driiiinnnnnnnnnn
"Società Melacantoemelasuono...buongiorno"
"Sono Tizia di Olavaolaspacca, voglio il codice dell'allarme"  grazie per il buongiorno, truzza.
"Ehm, Signora Tizia, deve contattare il responsabile per il codice dell'allarme, quando abbiamo attivato il sistema satellitare vi abbiamo dato il suo numero per le emergenze..."
"Lo so, ma lui non risponde al telefono quindi lo chiedo a lei, ha pochi minuti per rispondere." Ecco, questa cerca rogna...
"Senta...io non ho il codice dell'allarme in tasca, abbia la pazienza di cercare il responsabile. Tra l'altro, se non erro, il responsabile dovrebbe essere presso la vostra officina con il mezzo allarmato..."
"Lo so, è in magazzino."  uhm, ci fai o ci sei?
"...allora perchè chiama me? "
"Questa è la procedura. Basta, lei non ha il codice quindi riattacco e avviso le forze dell'ordine per mezzo allarmato"  
Click.

Brava, chiama le forze dell'ordine e attiva la procedura di furto visto che c'è un mezzo allarmato. Ricordati di specificare che tale mezzo e il responsabile dello stesso sono nella tua officina e che stai chiamando perchè questa è la procedura. Chissà se esiste il crimine di eccesso di leggittima imbecillità.

Apatia portami via

Ci sono quei giorni che iniziano solo per farti avere il desiderio di vederli finire. Ti svegli al trillare fastidioso del cellulare. Il cellulare aziendale, 'azzo!
"Come va? bentornata!"
"...non sono tornata...sono in ferie fino a mercoledì..."
"..."
"..."
"Ci sarebbe una cosa urgente..."
Un giorno faranno dei telefilm su di me, qualcosa tipo E.R.tutto un corri-corri e sbrigati sbrigati. Il cellulare sempre acceso, il suo trillare molesto che ti violenta le meningi mentre tu, disperata, ti chiedi chi te l'ha fatto fare. Non era meglio fare l'estetista?

giovedì 19 agosto 2010

Errata corrige

Oggi è morto Nando il fruttarolo. Cioè non è vero che è morto, manco lo conosco sto Nando. Uso un nome de fantasia pe’ evità riferimenti a nomi, cose, città. Dicevo: è morto Nando e tutti a piagnè pe’poro Nando che era tanto bravo e tanto bono. Io mica lo capisco perché quando uno more diventa na specie de santo, martire e forse pure vergine.
Nessuno se ricorda più che Nando arrubbava sul peso della frutta, che quando te pesava tre mele erano capaci de pesà tre chili che te veniva da digli: “A Nà, ma sei sicuro che so’mele e non so palle de piombo?”.
Nando poi i prezzi li faceva un po’ come glie pareva. ‘a mattina se svegliava e te metteva le mele a tre euri ar chilo e allora glie facevi: “A Nà, se le quotazioni de le mele tue continuano a salì, i zingari smetteno de rubbà il rame lungo la linea de ostia e se vengheno a rubbà le mele tue che poi se le rivendono al mercato nero e costano sempre meno de quanto le vendi tu”.
Un giorno Nando me raccontò perché le mele sua costavano un botto. Me disse che glie costavano fatica. Ogni volta le doveva andà a rubbà all’orticello de su cognato senza fasse scoprì. E mica era facile, anzi! A volte ce se metteva pure quel rompicoglioni der cane a fa la spia. Abbaiava come un pazzo e glie correva appresso pe’mozzicallo. Per questo ‘e mele sue costavano tanto: se le sudava, nel vero senso della parola!
Nando faceva pure un po’ er furbetto. Annava a fa la cicoria lungo la strada e te la spacciava pe’erbetta fresca fresca de prato quando invece ciaveva le foglie nero smogghe. Na vorta me so magnata la cicoria sua: era come magnasse un misto de benzina e de catrame. Ce so voluti du giorni pe’diggerilla, ciavevo l’intestino che era un diesel.
Mo Nando non ce sta più, starà a vende li carciofi a li mortacci sua, speramo che non prova a fregalli senno San Pietro lo chiude fori. Qua stanno tutti a piagnè perché Nando non ce sta più. E tutti dicheno che era tanto bravo, tanto bono e non faceva male a ‘na mosca. Pure su cognato piagnè. De gioia, ma sempre pianto è. Piagne pure er cane che rimpiange de non avello mozzicato nemmeno na volta.
Io vorrebbe sapè perché quando uno more diventa bono e santo. E’come se calasse na fetta de prosciutto gigantesco sull’occhi de tutti. Spero che pure quando moro io me dicete tutti che ero brava, bella e bona. Vorrei pure che qualcuno dicesse che ero tanto magra che non è vero ma tanto a na bucia in più, in certi momenti, non ce fa caso nessuno.

mercoledì 18 agosto 2010

Signori si nasce

Quando son andata a vivere in città ho dovuto adeguarmi ad usi e costumi del luogo. Quando ho detto a nonna che mi congelavo il pane perché uscivo troppo tardi da lavoro per comprarmelo ogni giorno fresco lei mi ha risposto:

“Basta che non fai come quelle  di città che si congelano tutto, pure la sorca”.

 Nonna ha sempre avuto una certa classe, e la classe, si sa, non si sciacqua.

martedì 17 agosto 2010

L'insostenibile leggerezza dell'essere

Stavo per morire. Sono stata lì lì per saltare il fosso.
Già me lo immaginavo:  San Pietro che mi svegliava e mi faceva portare un caffè da quei due pirloni della pubblicità.
E’stata un’esperienza bruttissima, una di quelle che ti scuotono così tanto che la cellulite resta a vibrare per giorni interi.
Com’è stato? Semplice, il classico incidente domestico: stavo facendo la doccia, sono uscita tutta ignuda e mi sono avvicinata alla bilancia. Salgo su e comincio a sentire il disco che gira gira gira sotto l’azione del mio peso. Dopo 5 minuti di giramento si assesta. Abbasso lo sguardo, cerco di guardare la cifra nascosta in prospettiva dalle tette. Leggo e mi prende un coccolone: dieci chili in più! Panico!!! Com’è possibile! Non ricordo di essermi mangiata un cinghiale per colazione! Forse il cornetto aveva un peso specifico esagerato! Comincio a fare un saliscendi continuo dalla bilancia mentre il mio neurone è nel panico più assoluto. Sono disperata. Comincio a meditare un piano di flagellazione fatto di pane ed acqua, senza pane però che sennò ingrassa. 
Il pomeriggio passa lento e il mio neurone è ancora sotto choc. Mi controllo le cicce e mi chiedo per quale strana magia sono lievitate come un panettone a Natale. Nel mentre che mi fustigo pissicologicamente sento una voce provenire dal bagno:
“Hai visto che s’è rotta la bilancia? Segna dieci chili in più!”
‘tacci sua. Nemmeno 30 enne e mi ritrovo già cardiopatica.

lunedì 16 agosto 2010

Ecco perché mi è venuto l'herpes

Avete una mamma che da giovane abitava in un paese lontano lontano e ogni anno vi frantuma quel tantinello di pazienza avanzatovi dal lavoro perché vuole che ce la portiate? Se la risposta è sì, potete saltare il post perché tanto quello che sto per raccontarvi l’avete già vissuto.
Come ogni anno comincia il tira il molla del “che dici se ci andiamo un paio di giorni?”
Che poi diventa “tanto una settimana passa in fretta”
Che poi diventa “una, due settimane…”
Ovviamente voi protestate allora comincia la guerra fredda fatta di sbuffi, rimbrotti, qualche frecciata ben assestata. Ormai minati ai fianchi, tra l’istinto omicida e quello della fuga, accettate con riserva:
“Solo due giorni!”
“va bene, tre giorni mi bastano”
“ho detto due!”
“ora preparo la valigia, per quattro giorni basteranno un paio di lenzuola?” e nel mentre comincia a preparare una valigia tale che pare portarsi dietro tutto il corredo, vestito da sposa incluso.
Tornare al paesello per lei è come per un capo di stato presenziare ad una parata. Si mette in valigia tutto l’armadio, tutte le scarpe, tutti i gioielli possibili perché immagina di fare la smargiassa nelle vie del paese con le conoscenze di gioventù che la guardano stupita ed esclamano: “Ma guarda la Maria, s’è fatta proprio una gran signora! Guarda che lusso! Guarda che brava!”. Peccato che al paesello sono tutti in modalità CRITICONI-ON MODE e quindi quel suo sperare diventa invece: “Guarda che smorfiosa la Maria, c’ha pure le calze sfilate”. Allora lei se la prende con me. Vorrebbe tanto che mi parassi a festa e mi ingioiellassi tutta come un santo in festa e girassi per il paese pettoruta ed estatica come una madonna in processione. Per convincermi a tal parata, una settimana prima della partenza comincia a propormi lunghe sessioni di shopping al grido di “dai che ti compro qualche cosa che mi pari un muratore a fine giornata”. Non c’è verso di farle capire che nei miei geni femminili non sono compresi l’amore per lo shopping, il rosa barbie e i vestitini. Non si può cavare sangue da una rapa così come non si può ricoprirmi di merletti. Sono assiomi fondamentali.
Arriva il giorno della partenza. In uno zainetto io ho qualche jeans, un  paio di mutande e una maglietta. Lei porta con sé l’intera collezione primavera estate di Versàce(n’arto litro), comprata su qualche bancarella cinese. In auto comincia la tratta dei giorni che si concluderà con la mia vittoria non appena saremo entrate nella vecchia casa dei nonni. Quando entriamo lì dentro non riesce ad opporre troppa resistenza, le è difficile negare certe evidenze.
Dovete sapere che la casa dei miei nonni è stata costruita dai loro nonni. Ha un qualcosa come un duecento anni. Forse stonacandola un po’ si potrebbe ritrovare qualche fossile o qualche graffito. E’ costruita su roccia in un paese appollaiato sul cucuruzzolo di una montagna alta circa 1100m s.l.m. Arrivarci è un po’come morire, un girare lungo i pendii e strapiombi. Un allegra scampagnata di due ore e mezzo. L’ultima ora dedicata a 30km di tornanti e curve a gomito con vista sul vuoto. Se soffrite di vertigini è un viaggio letale. Una volta che riuscite ad arrivare, sputate l’anima per raggiungere la casa. Il paese è tutto un saliscendi di scale e scalette. Per voi, come me, pigri nel dna che vivete a costante risparmi energetico è pura blasfemia. Diciamo che scamazzandovi un po’ riuscite ad arrivare alla famosa casa. Vi aiuta il fatto che ogni gradino passa qualcuno che vi ferma e comincia a parlare: “Ah, ma tu sei Maria, la figlia di Cosa che viveva a Pratello, che ha sposato Marietto che lavorava al campetto che aveva comprato bla bla bla”
Insomma, mentre loro ripassano l’albero genealogico, io ne approfitto per respirare.
Arrivati a sta famosa casa comincia il delirio. Essendo un’eredità contesa tra qualcosa come 415 eredi è senza manutenzione da circa 50 anni. La porta si apre a spallate. Entrate ed è tutto un fiorire di calcinacci. Un topo, vi guarda indispettiti, ha ragione, avremmo potuto bussare prima di entrare. Andate in bagno e c’è solo il cesso. E quando lo chiamo cesso gli sto facendo un complimento. Niente acqua calda bensì acqua sorgiva alla gradevole temperatura di  -20°, se vi fate il bidet vi restano gli ammennicoli in mano.
I letti sono chiusi in mobili letto di mezzo secolo fa. Roba innovativa per il tempo. Ad oggi trappole mortali: rischiate sempre o di richiudervi nel mobile o che il mobile vi rovini addosso. Unico modo per sopravvivere è dormire dritti dritti senza muoversi o respirare. Insomma, dovete fare un po’ come fanno i morti.
Appena entro guardo mia madre e le sibilo: “Due giorni e ce ne andiamo.”
Lei mi guarda, si guarda attorno, mi riguarda e dice: “Se proprio insisti…”

Mi presti mezzo chilo di pazienza che io l'ho finita?

Nel posto in cui soggiorno regnano chiacchiere, superstizione, pettegolezzi e religione. Passando per strada si sente un brusio continuo: sono i curiosoni che macinano gossip a rotta di collo.
Non è insolito trovare su di una panchina, o nascosto dietro una tenda di una finestra che da lungo la strada, un nugolo di vecchiette impegnate in litanie al signore infarcite di commenti e frecciatine rivolte a chi ha la sfortuna di passare di lì. Tra rosari e sforbiciate, un brusio del genere è paragonabile solo ad un’orchestra sinfonica di vuvuzelas o uno sciame impazzito di vespi africane.
Cosa rispondere ad un concentrato di ciance e rosari?
Semplice: basta diventare un incrocio tra Alfonso Signorini, il Mago Othelma e Fracazzo da Velletri.
“Signore pie! Ricordate quando Gesù disse di non guardare la pagliuzza negli occhi del fratello ma di badare alla trave nel proprio occhio? Ebbene, vi stava dicendo di farvi i cazzi vostri. Certo, usò un linguaggio un po’più raffinato ma il succo è questo! Leggetelo il vangelo, accidenti!”

Togliersi i sassolini dalla scarpa non ha prezzo, per il resto ci vonno li sordi.

martedì 10 agosto 2010

Quando le scarpe vanno strette

Sono tre giorni che sono al paese e mi sembra che sia già passata una vita. Ho già fatto l’incontro scontro con il parentume più disparato. Tutti si sono fatti i cavoli i miei e io, volente o nolente, mi sono fatta un po’ i cavoli loro. I paesini sono così: tutti sanno tutto di tutti. Dove non sanno inventano e vanno di supposizioni, quindi tanto vale dire tutto, almeno sono sicura che su di me si dice la verità vera e non quella estrapolata da un “l’ho sentita dire così e cosà…portava un vestito pomì e pomò…parlava al telefono con cicì e cocò”.
Durante il giorno sono quasi libera. Alle sei mia madre entra nella mia stanza urlando che è tardi, che sono una sfaticata. Evvabbè. Poi se ne va e ritorna alle 14. Cosa che potrei riaddormentarmi e risvegliarmi alle 13.30 senza che lei se ne accorga. Evvabbè. Fatto sta che mi alzo, mi scolo un paio di caffettiere per evitare di perdere il ritmo acquisito durante  il lavoro e cadere in crisi d’astinenza da caffeina.
Schizzata come la molla ribelle di un materasso comincio a girovagare per casa. Leggiucchio, smangiucchio…insomma, niente di socialmente utile. Alle 9 vengono, puntuali come un herpes al primo appuntamento, le mie nipotine. Trenta chili complessivi di figaggine e smorfiosaggine. Figlie dell’era Winx, vanno in giro sempre in coordinati rosa. Sono così maliziose da farti domande a trabocchetto e registrare e riferire ogni risposta e movimento.
“Ma quando ti sposi?” “E il tuo fidanzato com’è?” “Ha la macchina? È ricco? Che lavoro fa?” “Vivi con lui?” “bla bla bla….”
Signori, hanno 6 e 10 anni. E sono già due suocere provette.
Il momento stressante del giorno è il pasto. Pur avendo un tavolo enorme ci ostiniamo a mangiare tutti stretti da un lato lasciando libero l’altro per fare in modo che tutti possano vedere la tv. Capirai. Qui si vede solo la rai e telecapri. E spesso preferisco telecapri.
Come dicevo ci schiacciamo tutti da un lato del tavolo e, come la perfetta famiglia patriarcale, mettiamo tutti i vassoi di fronte a papà.
“Mi passi questo? Mi passi quello? Un goccio di vino? Solo mezzo bicchiere. Io voglio un tovagliolo. Passa il formaggio a nonna”
Che stress! In continuazione. Possibile che non ci si possa distribuire uniformemente lungo la tavola? Sarà che sono diventata asociale e burbera ma la mia idea del pranzo perfetto è un silenzio assordante, qualche grugnito di approvazione e tutto il cibo nel piatto. Ecco, lo so che ci vorrebbe una via di mezzo ma se così fosse non sarei io, non sarebbe la mia famiglia.
Dopo il pasto inizia la lotta con uno dei cani. E’ quello che ha la faccia più scema e fa sempre la parte del tontolone. In realtà è un paraculo patentato. Mentre tutti pranziamo, lui entra quatto quatto dalla veranda, passa di soppiatto dietro le poltrone e si mette a dormire nascosto dietro il camino. Ci accorgiamo di lui perché inizia a russare come un facocero. Allora cerchiamo di mandarlo via ma lui fa finta di non sentire che lo rimproveriamo. Apre ogni tanto un occhio per guardarci e non muove un muscolo facendo finta di essere morto. Quando lo prendiamo per il collare per trascinarlo via si butta a terra di peso. Si mette supino facendo la parte del morto ammazzato. Esasperati prendiamo qualche leccornia e gliela sventoliamo sotto al naso. Subito si rizza in piedi e inizia a scodinzolare come un matto.
Quando si dice “contadino cervello fino” non si parla solo dei bipedi. Parola mia.
To be continued…

domenica 8 agosto 2010

Fino ad esaurimento scorte

Il lavoro si è concluso venerdì. Alle 13 ero una donna libera. Avrei potuto finire prima ma Rolling aveva fatto un pasticcio come suo solito. Sono sempre altalenante tra l’aiutarla e il fregarmene ma dato che il lavoro è lavoro finisco sempre per farmi incastrare. Gli ultimi giorni, complice tanta stanchezza, sono stati pieni di nervosismo. Più volte sono arrivata a scontri brutali con Rolling. So di non avere un carattere semplice ma per mia s/fortuna non sono aggressiva. Con lei mi trasformo. L’ultima volta che abbiamo discusso ha avuto un che di delirante. Lei era molto in ritardo con le scadenze e io, accortamene, l’ho aiutata mentre non c’era smaltendole un po’ di pratiche. Come pensate che l’abbia presa?

Rolling: “Cosa ci fanno queste carte qui?”
Io: “Ho visto che sei rimasta un po’ indietro e ne ho chiuse alcune”
Rolling: “Basta! Io non ce la faccio più! Mi tratti come una deficiente!!! Non c’è un minimo di collaborazione!”
Io: “…aiutarti non è collaborazione?”
E giù un discorso insensato basato sul fatto che io le metterei i bastoni tra le ruote semplificandole il lavoro. Che io sta frase la sento così contraddittoria! Se qualcuno mi aiutasse io gli direi grazie… Vabbè, lei si è spinta oltre usando termini non proprio politically corret,mentre  io già stanca e stufa di mio ci ho messo un carico aggiuntivo. Trascorsi dieci minuti da una brutta lite ha cominciato a far finta di nulla, mostrandosi ipergentile…e a me l’ipocrisia mi fa ribollire il sangue.
Per fortuna le ferie sono arrivate prima che commettessi un rollicidio. Attualmente mi trovo a casa dei miei. In alcuni momenti mi sento tranquilla, in altri mi sembra di essere caduta dalla padella nella brace.
Sono inaccontentabile.
A volte non sopporto nemmeno me stessa.