lunedì 21 marzo 2011

Testamento

Fino a ieri non si parlava d’altro. Oggi è già notizia di seconda pagina visto quel che sta accadendo nell’area denominata “Hic sunt leones”. Il Giappone ha tremato. Il che, di per sé, per chi ha un minimo di conoscenza geologica, non è una novità. Ci sono paesi, come questo, che sono abituati a convivere con gli eventi naturali di tipo disastroso. Per noi che imprechiamo quando piove perché la città si congestiona, non è un concetto di facile intuizione, ma ci sono uomini che sono abituati a gestire potenze naturali come le piogge monsoniche, gli spostamenti tellurici, le esplosioni vulcaniche, gli tsunami, ecc. Cose che noi, occidentali medi, conosciamo solo perchè viste in qualche film americano che, si sa, agli americani piacciono un sacco questi film in cui tutto va a scatafascio per effetto di eventi calamitosi inarrestabili. Eh sì che dovrebbero pensare a preoccuparsi dell’attesissimo Big One che aspetta solo il momento giusto per fare festa…
Ma ritorniamo dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. In Giappone la convivenza con terremoti e vulcani ha fatto sì che si sviluppasse una profonda cultura dell’emergenza, una cosa che in Italia/Europa ce la sogniamo. Gli edifici sono costruiti in modo da resistere alle onde trasversali impresse dai sismi, le persone sono educate al comportamento da tenere in caso di emergenza, il sistema di soccorso è sempre attivo: tutto ruota attorno all’ottimizzazione della situazione che si viene a creare, qualunque essa sia.
Chi ha un’infarinatura di progettazione di edifici civili e non, o chi ha una nozione minima del tempo di ritorno dei fenomeni disastrosi, non si stupirà di quanto è avvenuto con l’ultimo terremoto. A volte quanto si parla di strutture antisismiche si pensa a edifici in grado di resistere a tutto. In realtà la progettazione  è finalizzata a resistere fino ad un evento pericoloso con un certo tempo di ritorno. Ciò significa che, immancabilmente, accadrà un fenomeno, di qualsiasi natura, che purtroppo andrà ad inficiare la sicurezza della struttura. Si tratta di eventi rari, ma raro vuol dire che accade con una probabilità bassissima, vicino allo zero, ma non nulla.
Al di là dell’impatto emotivo delle migliaia di morti, dei profughi, delle abitazioni distrutte, effetto che svanisce tempestivamente all’accadere di una nuova catastrofe (si veda il quasi dimenticato caso di Haiti),  quello che adesso è terrorizzante è l’effetto delle radiazioni. Come gran parte dei paesi più evoluti, il Giappone sfrutta egregiamente l’energia nucleare. Per quanto la costruzione di una centrale nucleare sia tale da dover rispettare delle misure di sicurezza inimmaginabili, nessuno è in grado di prevedere con quanta forza la natura possa accanirsi sull’uomo.
Ricordo che il mio professore di geotecnica, parlando dei metodi contenitivi per il pericolo frane, ci ricordava spesso: “per quanto possiate essere bravi, per quanto possiate pensare a tutto, se la montagna ha deciso di cadere lo farà.”
Nel caso del Giappone, la terra ha deciso di muoversi e lo ha fatto. Messa da parte la solidarietà, adesso vige la paura per ciò che sarà. Per quanto si possa ricostruire la vita, le radiazioni persistono indefesse: si parla di tempi di decadimento pari a migliaia di anni (Plutonio: 24mila anni.). E questo non è un problema esclusivo del Giappone. Pensate al pasticciaccio bruto del mercato globale: da dove viene il pesce che mangiate? La verdura che comprate? Gli abiti che portate? Dal mercatino sotto casa? Vogliamo poi parlare della pioggia e dei venti che spargono le particelle radioattive come zucchero a velo su di una torta?
In questi giorni si parla di referendum sul nucleare. Io non so quale sia la scelta più opportuna. Da un lato si parla di un’energia che permetterebbe l’affrancamento dal petrolio con conseguente riduzioni degli scempi che si fanno per l’oro nero. A ciò si sommerebbe il fatto che gli incidenti nucleari sono eventi rari. Scegliendo dei siti adatti e del personale qualificato, avremmo una discreta sicurezza.
Dall’altro un incidente nucleare, per quanto raro, ha effetti devastanti. Certo, non avere centrali sul suolo italiano, non è certo una garanzia di incolumità visto che oltralpe, i cugini francesi, hanno ben pensato di costruire le loro centrali proprio sul confine nazionale. Insomma, al momento viviamo il rischio senza usufruire del beneficio.
Senza contare che viviamo già a costante contatto con nemici ben più subdoli e silenziosi che, in quanto tale, sono spesso passati in secondo piano: la nostra vita è irrimediabilmente inquinata e marcia. Polveri sottili, inquinamento acustico, smog, salinizzazione delle acque, rifiuti, elettromagnetismo, percolati che inquinano le falde, ecc. Siamo così abituati a tutto ciò che il pericolo nucleare ci sembra più importante di quello che viviamo giornalmente.
Fondamentalmente è come andare in auto e avere paura dell’aereo. Nonostante l’auto sia notevolmente più pericolosa,  l’incidente aereo ci colpisce di più perché fa più vittime in un unico evento e ci colpisce di più a livello emotivo.
In questi casi, esiste solo un sistema per venirne fuori: regole e informazione. Sempre, comunque, ovunque.

P:S. questo post non voleva essere un elogio al mondo nipponico visto che, a me, del Giappone l’unica cosa che piace è il sushi.
P.P.S. Chi si aspettava un post divertente si rifarà alla prossima puntata, oggi ero in modalità “opinionista tv”. A Ferrara danno 3mila euro al giorno per dire la sua, io ve la dico gratis, contenti???

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